Mal bianco del melo

(f. sessuata Podosphera leucothrica; f. asessuata Oldium farinosum)

Questa malattia, che qualche volta colpisce anche pero e cotogno, è presente in tutta l’area di coltvazione del melo. Le varie cultivar hanno una diversa sensibilità alla malattia; fra le più colpite abbiamo la Jonathan, la Gravenstein, l’ Imperatore e la Renetta Canada. Il fungo, specialmente nelle zone e nelle stagioni ad andamento climatico relativamente asciutto, può provocare gravi danni attaccando germogli, fiori e foglie e causando così una riduzione del raccolto ed un indebolimento generale della pianta. Se le foglie vengono attaccate precocemente, il loro sviluppo si arresta, i margini si frastagliano in modo irregolare e l’intera lamina si decolora; se l’infezione è invece tardiva si formano delle macchie tondeggianti, di colore giallastro, più evidenti sulla pagina superiore. Sui germogli colpiti si ha la formazione di scopazzi in seguito alla presenza di internodi brevi e di un elevato numero di foglie piccole e con il margine ripiegato verso il basso. Successivamente gli organi infetti si ricoprono di una muffa di aspetto polverulento e di colore chiaro; da questa caratteristca deriva il nome di mal bianco dato alla malattia. Il fungo sviluppa il suo micelio sulla superficie degli organi colpiti e penetra all’interno di questi solo con gli austori che sottraggono il nutrimento alle cellule epidermiche. Lo svernamento del micete avviene per mezzo di ife che rimangono protette fra le perule delle gemme o di cleistoteci che contengono gli aschi con le ascospore. L’attacco dell’oidio sulle piante sensibili è sempre precoce non solo perché il micelio racchiuso nelle gemme si accresce contemporaneamente ad esse, ma anche perché questa crittogama riesce a svilupparsi anche a temperature relativamente basse. Il periodo di incubazione di questa malattia è di circa 10 giorni.

Lotta

La lotta contro il mal bianco sulle piante gravemente colpite non è facile e sovente deve essere proseguita per parecchi anni prima di poterne ottenere la guarigione. Non ci si deve attendere infatti dei risultati definitivi da uno o due interventi, anche se eseguiti con cura, ma si deve mettere in atto con tenacia un programma di lotta che preveda, accanto ai trattamenti antiparassitari, altre cure che mirino a risanare le piante per vie diverse. Anzitutto, con accurate potature devono essere eliminati i rametti troppo malati che rappresentano dei centri di diffusione del parassita; poi, con abbondanti concimazioni equilibrate e con l’irrigazione, se necessario, si dovrà mettere in grado la pianta di vegetare il più vigorosamente possibile; infine si procederà ai veri e propri interventi con antioidici specifici che dovranno essere iniziati, per le varietà sensibili, sin dalla fase delle “orecchiette di topo” e proseguiti durante il periodo vegetativo applicandoli in miscela con i prodotti usati contro la ticchiolatura. Fanno eccezione bitertanolo, penconazolo contro entrambe le malattie.

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Daniele

Daniele Castiello vive nel parco nazionale del Cilento ad Ascea , appassionato di erbe e della natura e dei sistemi biologici, ama le passeggiate in bicicletta tra la natura.

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