Quello che si deve sapere sul terreno agrario

Se si seziona con una vanga un terreno, possiamo osservare tre zone distinte per diversità di colore e di componenti:

a) Uno strato superficiale scuro dello spessore di 20-30 cm, ricco di sostanza organica, frequentato da microrganismi di piccoli animali ed interessato da processi fermentativi. Esso si definisce strato attivo: è in questo spazio che le radici esplorano il terreno alla ricerca delle sostanze minerali indispensabili alla vita delle piante;

b) Uno strato inerte, appena sotto allo strato attivo e facilmente distinguibile per il colore più chiaro, povero di sostanza organica e interessato solo da qualche radice. Di per sé sterile, lo strato inerte può venir messo a coltura con una lavorazione profonda che lo riporti in superficie onde esporlo ai fenomeni di ossidazione, alle concimazioni, alle lavorazioni, all’opera della microfauna, finché si caricherà di fertilità assumendo il caratteristico colore scuro tipico dello strato attivo.

c) Il sottosuolo, cioè il terzo e più profondo strato del terreno agrario, non interessa direttamente le nostre colture in quanto non viene mai toccato, né con lavorazioni ordinarie, né con lavorazioni straordinarie. Allo strato attivo ed allo strato inerte dedicheremo le nostre maggiori attenzioni, lavorandoli in modo tale da offrire alle radici delle nostre piante uno spazio propizio al loro sviluppo.

 

Di alcuni tipi di terreno. Varie strutture fisiche

Se confrontiamo tra loro dei terreni scelti a caso, osserveremo delle differenze che li rendono più o meno adatti ad ospitare le varie colture. Volendo schematizzare queste differenze, distingueremo tre tipi caratteristici di terreni:

Terreni sabbiosi: trattengono poco l’acqua, si lavorano con facilità, ma non mantengono la forma che diamo con le lavorazioni;

Terreni argillosi: soggetti ai ristagni d’acqua, si fanno lavorare con difficoltà, mantengono la forma data con le lavorazioni;

Terreni sassosi: lasciano filtrare bene l’acqua, ma offrono alle piante particelle troppo grosse per essere sfruttate dalle radici.

Il terreno ideale alla maggior parte delle colture è il terreno di medio impasto, un terreno dove sabbia, argilla e scheletro sono presenti contemporaneamente in giuste proporzioni. Il terreno di medio impasto si lavora con facilità, mantiene la forma ricevuta, lascia filtrare l’acqua, trattenendone la quantità necessaria alla vita delle colture. Se il terreno del nostro orto non è tale, toccherà a noi ammendarlo con l’aggiunta di terra di struttura opposta con frequenti lavorazioni e concimazioni di natura organica.

Il Ph, ovvero la reazione chimica del terreno

Di un terreno, oltre alla struttura fisica, è importante conoscere la reazione chimica, detta pure Ph. Il Ph dipende dalla quantità di ioni OH o di atomi H che in esso sono presenti. Se prevalgono gli ioni OH (ossigeno-idrogeno) un terreno si dice a reazione alcalina. Al contrario, la prevalenza dell’H (idrogeno) rende acido un terreno.

La reazione chimica ideale

Ogni ortaggio ha particolari esigenze di Ph, che oscillano generalmente tra valori compresi tra il Ph 6 ed il Ph 7,2. Per sapere con precisione la reazione del terreno ricorreremo agli apparecchi citati, ma se dovessimo attenerci ad una valutazione empirica ricordiamo che i terreni ricchi di sabbia tendono all’acidità, mentre quelli argillosi e calcarei all’alcalinità. Si rimedia ad una acidità eccessiva aggiungendo calce idrata al terreno, al contrario si diminuisce un’esuberante alcalinità con gesso agricolo o con zolfo  e concimazioni letamiche. Comunque lo gesso usato in terreni neutri riesce a stabilizzare gli intervalli di ph.

Equilibrio perfetto dell’ecosistema

Soffermiamoci sul terreno di coltivazione, e cioè di quello strato dove risiedono le radici delle piante ed è un ecosistema formato da essudati radicali, funghi simbionti (micorrizie) e funghi saprofiti (trichoderma spp, attinomiceti).

Questo insieme prende il nome di rizosfera, ed i rapporti tra i vari microrganismi e le radici influenzano la vita stessa delle piante.

Gli essudati radicali sono le scorie che le piante producono a seguito della fotosintesi clorofilliana e che rilasciano nel terreno tramite le radici. Questi essudati, a lungo andare, renderebbero la rizosfera un luogo tossico per le stesse piante se non ci fossero i batteri che, decomponendoli, li trasformano in sostanza nutritiva assorbibile dalle radici.

Per avere una rizosfera funzionante deve essere presente la sostanza organica e l’humus necessari per creare l’equilibrio fondamentale tra pianta e terreno affinché le radici possano svilupparsi e le piante crescere in modo sano.

La sostanza organica e ricca di carbonio, che è la sorgente di nutrienti ed energia. È parte essenziale della vita sulla terra e gioca un ruolo importante nella struttura biochimica e nella nutrizione di tutte le cellule viventi.

Le due sorgenti più comuni di carbonio sono l’anidride carbonica e il carbonio organico. Pertanto per avere un’elevata attività nella rizosfera e nutrire i batteri  dobbiamo somministrare sostanza organica ricca di carbonio organico e le piante avranno a disposizione elementi nutritivi prodotti dai batteri.

In commercio ci sono inoculi di micorrizie e batteri da somministrare al terreno insieme a un buon ammendante organico.

Dove distribuire il concime

Qualsiasi pianta arborea per vivere in salute, come ho detto, ha bisogno di nutrirsi di sostanza organica, acqua e luce. L’apparato radicale è la parte delle piante che svolge questo compito vitale, quindi è importante capire come esplica questa funzione. Uno dei compiti principali è l’ancoraggio e prelevare le sostanze nutritive, queste si dividono in: radici fittonanti che scendono ad un massimo di 1\1.5 mt di profondità, e in terreni particolari raggiugono anche i 2 metri, queste sono quelle che svolgono la funzione di ancoraggio perchè a quelle profondità il terreno e inerte. Le radici superficiali si diramano attorno al torno ad una profondità dai 15 ai 30 cm (In figura punto P) essendo questo lo strato attivo, luogo in cui vivono batteri e i vari nutrienti. In base alla grandezza della pianta varia la distanza delle radici capillari(In figura R2). Ad esempio in una pianta con una chioma di diametro 80cm ( In figura punto C) sono situate ad una distanza dal tronco di 30\40cm in poi( In figura punto R2) . Su piante con chioma di 200/300cm la distanza R2 sarà posizionata ad 1,5mt di distanza dal tronco.  nelle piante più piccole o più grandi la distanza R2 varia .  Conoscere questa notizia è importante perchè, quando somministriamo la sostanza organica (concime) nel terreno dobbiamo concentrare lo spargimento ad una certa distanza dal tronco, in quanto le radici adiacenti al tronco (In figura punto R1) non svolgono funzione di assorbimento e inoltre importante non effettuare lavorazioni profonde.

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Daniele

Daniele Castiello vive nel parco nazionale del Cilento ad Ascea , appassionato di erbe e della natura e dei sistemi biologici, ama le passeggiate in bicicletta tra la natura.

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